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Benessere Giovanile. Roma Capitale sperimenta l'indice di Demoskopika


Una quota significativa di giovani romani si dimostra temeraria, è alla continua ricerca di autonomia e di spazi di maggiore libertà. E lo fa staccandosi dalla famiglia d’origine. In tanti dichiarano un’occupazione (59,8%) anche se non del tutto in coerenza con gli studi: 6 su 10, in particolare, ritengono non esista una forte connessione del proprio lavoro con il percorso formativo realizzato.

Lavoro e formazione. Oltre 4 giovani su 10 pronti all’estero per un lavoro “più adeguato”.

Ciò non toglie che, sul versante opposto, esiste una quota significativa di giovani che, al pari di altri numerosi coetanei italiani, soffre per la mancanza di lavoro. E per migliorare la situazione occupazionale reagiscono in molteplici modi: c’è chi è pronto a lasciare il proprio luogo di origine per recarsi all’estero (41,7%), c’è chi non si rassegna affidandosi alla tradizione con l’invio del curriculum vitae (62,4%); altri, invece, usano canali più informali confidando nella presentazione o segnalazione da parte di parenti, amici o conoscenti (20%). E c’è anche chi, sfiduciato o disincantato, piomba nel limbo dell’inattività.

Demoskopika stima la presenza di circa 90 mila neet, nella fascia tra i 18 e i 35 anni pari al 17,3% della popolazione giovanile romana.

Ma quali sono le cose che contano davvero nella vita dei giovani romani? Famiglia, amicizia e lavoro, senza dubbio alcuno: dimensioni valoriali che vanno oltre il 70% delle preferenze degli under 35 anni.

Spostando l’analisi sulla fiducia nelle istituzioni, il primo carattere sociologico emerso è dato dalla conferma della crisi di rappresentanza politica confermato dalla maggiore fiducia accordata alle istituzioni sociali rispetto alle istituzioni più strettamente politiche: l’indice medio di fiducia espresso nei confronti delle prime, pari al 62,9%, supera nettamente, di quasi il doppio, quello calcolato per le seconde (34,5%).

Fiducia nelle istituzioni. Al top magistratura e forze dell’ordine, bocciati sindacati e banche.

Il secondo carattere, sociologicamente significativo, è dato dalla conferma della relazione tra la vicinanza spaziale dell’organizzazione considerata e la valutazione espressa. Alla grande fiducia accordata alle forze dell’ordine, alla scuola, alle università e alle associazioni di volontariato, sicuramente maggiormente visibili o presenti nella quotidianità degli intervistati, corrisponde il senso di lontananza avvertito principalmente nei confronti delle organizzazioni sindacali e delle banche.

E il rapporto con gli immigrati e con le varie tematiche ad essi connesse? Emerge un quadro interessante, caratterizzato da una evidente dicotomia. In particolare, considerando sia le risposte “molto d’accordo” sia quelle “abbastanza d’accordo”, con il 66,4%, l’affermazione che trova l’assenso più alto è a polarità positiva rispetto al continuum “apertura/chiusura”: “l’immigrazione dei cittadini stranieri permette il confronto tra culture diverse”.


Immigrazione. Apertura all’integrazione, ma non manca il dissenso.

Le espressioni con il secondo e il terzo più alto assenso sono, al contrario, a polarità negativa evidenziando, da un lato, la percezione dell’invasione e, dall’altro, la relazione “immigrazionecriminalità”.

Nel tentativo di comprendere il livello di consapevolezza dei giovani romani rispetto alle insidie della rete, l’indagine, inoltre, ha voluto rilevare il loro livello di condivisione rispetto ad una batteria di affermazioni riguardanti l’aggressione che avviene tramite i social.

Social. Odio in rete, prevale la linea accusatoria.

Senza volerlo, infatti, si può diventare vittime, spettatori passivi e complici di situazioni spiacevoli e di pratiche corrosive. In particolare, passando alle trappole e alle insidie nell’uso dei social, ci si può imbattere in un perverso social cocktail rappresentato da fake news, troll e hate speech che ledono la dimensione relazione alla base dell’utilizzo dei social network. Dunque, qual è l’orientamento emerso dei giovani romani, giustificazionista o accusatorio? Dall’indagine, seppur in chiave non esaustiva, emerge un atteggiamento prevalentemente di condanna rispetto al fenomeno dell’incitamento all’odio in rete: 8 under 35 anni su 10 ritengono che l’incitamento all’odio in rete comporti “conseguenze sulla vita reale degli offesi” a cui fa immediatamente eco una consistente quota dell’80,7% che lo ritiene una “forma molto grave di aggressione dell’altro”. Ma non manca chi ritiene l’incitamento all’odio in rete una modalità tipica della comunicazione online, un modo per evitare che l’odio si esprima nella vita reale, o addirittura, un modo accettabile per ridurre la rabbia.


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